di Rossella Boriosi
Autrice del libro “Nega, ridi, ama. Diario tragicomico di una menopausa”, Giunti.
A differenza di altre faccende femminili legate alla fuoriuscita di umori e bambini la menopausa era una questione privata da affrontare con una vestaglietta addosso, la tisana tra le mani e una copertina di lana sulle gambe. Per questo stupisce scoprire che, improvvisamente, sia diventata di moda.
Sì, ma parliamo seriamente di menopausa…
Si è cominciato a parlare seriamente di menopausa quando la medicina e il miglioramento delle condizioni di vita hanno consentito alle donne di vivere più a lungo della loro riserva ovarica – ma poiché vitalità e bellezza sono da sempre state associata alla fertilità, si è scelto di farlo nella maniera più depressiva possibile declinando questa fase in termini di mancanza, cessazione, patologia e calamità. (Ecco cosa succede quando affidiamo agli uomini il compito di decrittare la nostra fisiologia: a nessuna donna sarebbe venuto in mente di associare bellezza e benessere al gonfiore premestruale).
Ancora oggi il tourbillon ormonale da menopausa è un’esperienza che, quanto a piacevolezza, si colloca a metà tra l’estrazione di un dente e la riunione condominiale, ma qualche anno fa era persino peggio perché ufficializzava l’ingresso nella fase discendente della vita: addio assorbente con le ali, benvenuto pannolone.
Nessuna donna avrebbe mai confessato pubblicamente di essere in menopausa: non solo sarebbe diventata oggetto di derisione, ma quella sorta di annebbiamento e instabilità umorale che per anni erano state imputate all’imminenza del ciclo mestruale sarebbero divenute, agli occhi del mondo, una condizione permanente.
Questo è quanto accadeva alle donne ordinarie ma a quelle straordnarie, obbligate per contratto a rimanere giovani, non andava meglio.
“L’industria cinematografica non offre nulla di interessante alle donne della nostra età” piagnucolavano le attrici di Hollywood passate dal ruolo di ragazza ribelle a quello di madre della stessa, e se persino loro avvertivano lo stigma dell’età, cosa mai avremmo potuto fare noi, prive della consolazione di un truccatore in grado di far sparire zampe di gallina e nasolabiali a colpi di cerone ben assestati?
Tutto questo però accadeva in passato. Poi, sono accadute due cose.
La menopausa oggi ha creato un intero vocabolario: ragazze 50enni o sagge signore?
La prima: le attrici disposte a recitare nel ruolo della madre sono diventate così tante e così attraenti che Hollywood ha dovuto ridefinire la figura della donna matura e seducente trovando un neologismo – cougar – che le regalasse un tocco glamour con un twist di aggressività.
La seconda: il mondo ha seguito il trend e gettato uno sguardo incuriosito sulle donne di una certa età. Quale età? Dipende: superato l’impasse in cui “vita” e “anagrafe” entrano in cortocircuito, si smette di perdere tempo per tentare di riallinearle preferendo decidere di volta in volta se essere ragazze cinquantenni alle prese col primo tatuaggio o signore sagge a cui chiedere consiglio – o entrambe le cose.
I sociologi e gli esperti dei fenomeni di costume faticano a trovare una definizione che ci rappresenti, così devono accontentarsi di neologismi quali Perennial o perifrasi come “generazione elastica” -, ché gli stereotipi in cui venivamo compresse non appartengono più nemmeno all’immaginario collettivo.
«Siamo fortunate, viviamo nell’epoca migliore per attraversare la mezza età» – conferma Chiara, la mia intercettatrice di tendenze preferita. «La figura iconica della signora attempata ma con velleità ha perso la suapatina di mestizia per diventare soggetto del desiderio.
Hai capito bene, ho detto “soggetto”: senso pratico, esperienza acquisita e un certo disincanto permettono alle signore dell’età di mezzo di muoversi agevolmente anche nel terreno sdrucciolevole della seduzione, senza cincischiare in attesa di una telefonata o di segno di spunta ma, al contrario, facendosi desiderare e amare.
Madame Macron, Sharon Stone, Heidi Klum e altre dee contemporanee hanno fatto spallucce a chi derideva le loro relazioni con partner più giovani dimostrando che non c’è secchezza vaginale che non possa essere superata con il giusto trattamento e uno slancio del cuore. La loro indifferenza al giudizio del mondo – e una certa tendenza alla reiterazione – hanno fatto sì che quella malevolenza che veniva gettata sulle coppie in cui l’elemento più anziano era lei, quel giudizio di valore calato sulla donna, potessero finalmente venire meno.
Attenzione: non sto dicendo che le coppie in cui lui è più giovane siano universalmente accettate, ma che si è venuti a patti col fatto che, laddove ci siano maggiore età e consenso, le relazioni affettive possano essere declinate in molti modi e questo è uno dei tanti. Insomma, stiamo sganciando bellezza e vitalità dalla funzionalità ovarica. E poi c’è dell’altro.»
Dimmi, Chiara. Ti ascolto.
Ehi, aziende, guardateci: siamo noi che apriamo il portafoglio!
«Basta osservare le pubblicità per vedere che è in corso una vera e propria celebrazione dell’orgoglio attempato. Le nostre mamme hanno fatto il Sessantotto e noi figlie abbiamo imparato la lezione, nel senso che conserviamo slanci e entusiasmi anche a quell’età, e finalmente le aziende sembrano essersene accorte. Solo, devono ancora correggere il tiro»
Chiara, non ti seguo.
«Le donne della mia età – quelle in menopausa o in procinto di andarci – vengono lusingate con la promessa di fermare il tempo o addirittura invertirlo e questa, per chi è uscita dalle turbolenze della gioventù, è una prospettiva terrificante: non vogliamo affatto tornare indietro ma vivere il presente e andare avanti al meglio delle nostre possibilità.
I media usano con noi un linguaggio paternalistico e carico di condiscendenza, l’immagine che danno di noi è parodistica, indecisi come sono tra Nonna Papera e Monica Bellucci. Persino i complimenti che ci rivolgono sono pieni di concessive che tradiscono il loro reale pensiero: “Nonostante abbia superato i 50, sebbene ne abbia già compiuti 40, anche se non più giovane”, cose così.
Le aziende, d’altro canto, cercano di vendere i prodotti pensati per noi attraverso modelle con l’età delle nostre figlie. Ma come possiamo credere all’efficacia di una crema spalmata sulla pelle di una diciottenne o alla vestibilità di un abito taglia 38? Io sono orgogliosa della mia età, è grazie a questa che ho acquisito stile, saggezza, senso dell’umorismo e forza: niente che vorrei barattare con una taglia 38 o la pelle tesa.
Si tratta di errori di comunicazione grossolani che le aziende farebbero bene a correggere perché, di fatto, la nostra è la fascia di reddito che dovrebbero coccolare: siamo top spender e influencer nei consumi, viviamo, lavoriamo, risparmiamo. Siamo formidabili consumatrici di cultura, amiamo divertirci e viaggiare; tiriamo su i piccoli, supportiamo gli anziani, presidiamo la salute di tutti; siamo snodi decisivi nei processi di integrazione. Eppure, ancora non siamo rappresentate come vorremmo»
E tu, Chiara, come vorresti essere rappresentata?
«Così come mi vedi: in affanno, bellissima, con una ciambella di grasso attorno ai fianchi che non mi permette di indossare l’abito della ventenne con il suo stesso risultato. E con le pareti vaginali ben idratate: te l’ho già detto che la mia ginecologa è fantastica?»
(*) Referenze
- Nappi RE, Climacteric 2015; 18: 233-240
- Nappi RE and Kokot-Kierepa M. Climacteric 2012; 15:36-44
- Nappi RE, et al. Maturitas 2013; 75:373-379